Biografia
Giovanni Pico nacque giovedì 24 febbraio 1463 a Mirandola da un famiglia che da poco più di centocinquant’anni stava governando questa Città, all'interno di una piccola signoria dell’area padana, sita in una posizione strategicamente rilevante, tra Modena, Mantova e Ferrara, lungo la via in direzione del Po e di Verona. Il padre, Giovan Francesco, signore di Mirandola, aveva sposato Giulia Boiardo, donna colta e raffinata, appartenente alla nobile stirpe sovrana del feudo di Scandiano in provincia di Reggio Emilia e imparentata con Matteo Maria, l’autore del celebre poema cavalleresco “Orlando innamorato”. ll primo biografo di Giovanni, il nipote Giovan Francesco II, nel mostrarsi attento a fare uso dei topici canoni descrittivi da impiegare per la narrazione di vite straordinarie, scrisse che nel giorno di nascita dello zio filosofo “fu vista una fiamma in forma di cerchio stare sopra il giaciglio della partoriente e tosto svanire”, segno rilevatore di un personaggio destinato ad illuminare il mondo con la sua intelligenza e la sua mente, ma per un breve lasso di tempo. A quattro anni Pico perdette il padre, e la madre Giulia iniziò ad occuparsi della sua formazione, avendo cura di tenere lontano il proprio figlio, di età il minore, dalle dure e costanti smanie bellicose dei due fratelli maggiori Galeotto ed Anton Maria, impegnati in una feroce battaglia finalizzata ad ottenere il comando ed il governo di Mirandola.
Giovanni all’età di quattordici anni, con l’intento di studiare diritto canonico, entrò all’università di Bologna, dove rimase fino a poco dopo la morte della madre, avvenuta nell’agosto del 1478. Si recò poi a studiare a Ferrara, su invito del Duca Ercole I d’Este, abbandonando gli studi di diritto canonico per seguire quelli di carattere umanistico. Qui Giovanni ebbe modo di imbattersi in una città culturalmente molto viva, potendo conoscere un raffinato letterato come Tito Vespasiano Strozzi, poeta presso la corte estense, e incontrando, molto probabilmente, anche un personaggio che ebbe un ruolo di grande importanza nella vita del Filosofo: il frate domenicano Girolamo Savonarola. Dopo un anno di permanenza a Ferrara, Pico si spostò ancora per frequentare l’università di Padova. A quel tempo in questa città si privilegiava lo studio del pensiero filosofico del “maestro di color che sanno”, Aristotele, e in particolare di un’interpretazione della dottrina aristotelica elaborata dal filosofo e medico arabo Averroé vissuto nel XII secolo. Qui Giovanni restò dall’autunno del 1480 alla primavera del 1482, seguendo i corsi di Nicoletto Vernia da Chieti e del cretese Elia Del Medigo che iniziò Giovanni alla conoscenza dell’ebraico, per poi collaborare con il Filosofo di Mirandola traducendo per lui i commenti ad Aristotele di Averroè.
Dopo essersi fermato per breve tempo a Mirandola, verso la fine dell’anno 1482 Pico si recò a Pavia accompagnato da Manuele Adramitteno, maestro di greco, per seguire per un anno, presso l’antico ateneo pavese, i corsi di retorica e di logica matematica. Nei primi mesi del 1484 Giovanni Pico si stabilì a Firenze, centro ricchissimo di stimoli intellettuali, in cui fioriva un circolo culturale straordinariamente vivo e brillante, grazie specialmente in quegli anni alla figura di Lorenzo de’ Medici, uomo politico e letterato, attento a promuovere e a favorire un’eccezionale produzione artistica, letteraria e filosofica. Pico, ventunenne, a Firenze poté rapportarsi con diverse figure di grande importanza per la sua formazione. Egli poté conoscere infatti Angelo Poliziano, poeta, umanista e filologo con cui aveva già avuto modo di entrare in contatto nel 1483 affinché il Poliziano si esprimesse su alcune elegie latine del Mirandolano, poi distrutte dallo stesso Pico. Dei componimenti poetici di questi sono oggi sopravvissuti solo una cinquantina di sonetti in italiano, composti sulla base del magistero letterario di Francesco Petrarca.
L’altro incontro fondamentale del primo soggiorno fiorentino di Giovanni Pico fu quello con Marsilio Ficino, filosofo allora cinquantunenne, che a partire dal 1463 aveva curato la realizzazione di un’operazione di eccezionale importanza: la traduzione in latino delle opere di Platone. Beneficiando della positiva influenza di un ambiente caratterizzato dalla grande vivacità culturale, Pico si dedicò pienamente alla speculazione filosofica ponendosi il problema, all’interno del contesto umanistico e letterario dell’epoca, di come confrontare retorica ed eloquenza da un lato e sapienza e dottrina dall’altro. Su questa specifica questione Giovanni ebbe modo di esprimersi direttamente nell’ambito di un importante rapporto epistolare con Ermolao Barbaro. Questi, professore a Padova, aveva scritto a Giovanni definendo i filosofi sordidi, rozzi, incolti e barbari e precisando che solo una lingua elegante poteva procurare agli scrittori gloria e ricordo eterni. Pico rispose difendendo con forza il valore della pura speculazione filosofica, anche quando espressa con linguaggio non raffinato, rispetto alla vacua ricerca dell’eloquio elegante e stilisticamente ineccepibile, potendo la verità essere manifestata con qualunque linguaggio. Da luglio 1485 a marzo 1486 Giovanni Pico soggiornò a Parigi per seguire i corsi di teologia e per partecipare alle dispute della Sorbona, la prestigiosa università in cui prevaleva apertamente il pensiero della filosofia scolastica ed avverroistica. Ritornato in Italia e a Firenze, Pico si dedicò con grande impegno ed intensità, avvalendosi dell’apporto di Elia del Medigo e dell’ebreo convertito Flavio Mitridate, all’approfondimento dello studio dell’ebraico, del caldaico, e in particolare della Cabbalah. Nello stesso tempo elaborò un commento in prosa ad una canzone dottrinale di Girolamo Benivieni sull’amore divino, ispirata alle tesi di Marsilio Ficino.
Per Pico quello fu un periodo di fervida, ampia ed inesausta riflessione che lo spinse ad ideare il progetto di riunire a Roma un convegno di dotti fatti convenire per discutere pubblicamente su diversi argomenti e teorie del sapere filosofico e teologico. Per preparare questa disputa romana, Giovanni Pico decise di ritirarsi a Perugia, ma nel corso dello spostamento verso la città umbra fu protagonista di una burrascosa avventura di carattere amoroso e dai tragici risvolti. Il 10 maggio 1486 ad Arezzo Giovanni rapì infatti , come molto verosimilmente convenuto, una gentildonna di nome Margherita, sposa di Giuliano Mariotto de’ Medici. I due, assieme ai domestici e amici del Mirandolano, si diressero in fuga verso il senese, per essere poi raggiunti dagli aretini che uccisero la maggior parte dei famigli del Filosofo che venne arrestato. Pochi giorni dopo, grazie all’intervento di Lorenzo de’ Medici, Pico venne liberato e poté raggiungere così Perugia. Giunto successivamente a Roma, egli s’impegnò per organizzare concretamente il proprio ambizioso disegno di far svolgere nella città capitolina una sorta di grande ed assai partecipato convegno alla presenza dei maggiori sapienti del tempo, chiamati a discutere sul conosciuto e sul conoscibile in materia filosofica e religiosa.
Il 7 dicembre 1486 vennero stampate le “Novecento Tesi” di Giovanni Pico, ovvero“proposizioni dialettiche, morali, fisiche matematiche, teologiche, magiche, cabalistiche, sia proprie che dei sapienti caldei, arabi, ebrei, greci, egizi e latini”. L’opera doveva costituire il testo di riferimento per l’aperto dibattito romano, che a sua volta avrebbe dovuto essere preceduto da un discorso introduttivo, in realtà mai pronunciato, poi conosciuto come Oratio de hominis dignitate, comprendente alcune fra le pagine più alte e celebri del pensiero pichiano. Le critiche e la diffusa ostilità nei confronti dell’opera di Pico indussero il Papa, Innocenzo VIII, a rinviare lo svolgimento della disputa e a istituire una commissione d’inchiesta sulle Tesi del Filosofo. Nel marzo dell’anno 1487 la commissione papale, terminato il proprio lavoro d’indagine, dichiarò sette Tesi pichiane eretiche o offensive e giudicò altre sei Tesi infondate. Pico nel maggio dello stesso anno, a fronte di questo pronunciamento sfavorevole, intese allora difendere prontamente il suo pensiero e rivendicare il valore della propria libertà di filosofo, scrivendo l’ “Apologia” con la quale accusò anche espressamente i suoi censori di ignoranza. Questa difesa pichiana spinse Innocenzo VIII a condannare definitivamente in blocco tutte le Tesi del Mirandolano, come eretiche e scandalose, vietandone,a pena di scomunica, la lettura, l’ascolto, e la stampa.
Nell'autunno 1487 Pico, costatando l’ostile chiusura della Curia Vaticana, decise di allontanarsi da Roma, progettando di poter presentare le proprie Tesi in altri contesti culturali e in particolare alla Sorbona parigina. Il Papa, informato dell’allontanamento di Giovanni Pico, decise senza indugio di rendere pubblico il Breve di condanna delle Tesi pichiane, diffondendo in questo modo l’ordine di arrestare il Filosofo. Nel febbraio del 1488 gli uomini di Filippo di Savoia, conte di Bresse e zio del re di Francia Carlo VIII, arrestarono Giovanni Pico nei pressi della città di Lione, rinchiudendolo nella rocca di Vincennes, non lontano da Parigi. La sua prigionia, grazie all'interessamento di principi italiani, in particolare di Lorenzo de’ Medici, fu molto breve e il 10 marzo 1488 Pico venne liberato. Dall'estate dal 1488 Pico si stabilì nei pressi di Firenze, sui colli fiesolani, profondamente turbato per la condanna di eresia espressa dalla Chiesa. In quel periodo egli, seguendo uno stile di vita improntato a una severa austerità e continenza, si concentrò in particolare su temi di carattere mistico e religioso, scrivendo anche un Commento ai Salmi biblici. Nel contempo Giovanni fece pressione su Lorenzo de’ Medici affinché Girolamo Savonarola da Ferrara fosse trasferito a Firenze, dove il frate domenicano giunse, presso il convento di San Marco, nel 1489. Proprio quell'anno Pico scrisse l’ “Heptaplus”,un’opera composta da sette libri, a loro volta suddivisi in sette piccoli capitoli, sviluppata come commento allegorico al racconto biblico dei sette giorni della creazione.
Nel 1492 Pico elaborò un testo da far rientrare nel suo più generale disegno finalizzato a dimostrare la concordia sostanziale dei sistemi filosofici diversi, il "De Ente et Uno". Proprio quell'anno scomparve una persona vicina assai cara a Giovanni, Lorenzo il Magnifico. Ciò accrebbe nel filosofo di Mirandola l'attrazione per un interiore misticismo, rinfocolato dai rapporti sempre più intensi con Savonarola. Il 18 giugno 1493 il Papa Alessandro VI, succeduto a Innocenzo VIII, emise il Breve con cui Pico venne assolto da ogni censura e nota di eresia. In questo periodo Giovanni Pico attese alla predisposizione di un’ampia trattazione per confutare l’astrologia e dimostrare l’ inconsistenza delle divinazioni del futuro fondate sul corso degli astri, le “Disputationes adversus astrologiam divinatricem”, che furono pubblicate dal nipote Giovan Francesco nel 1496. In quei mesi di profonda riflessione speculativa, Pico intensificò la propria meditazione religiosa e il proprio distacco, vissuto nell’isolamento del convento fiorentino di San Marco. In questo complesso lunedì 17 novembre 1494, il giorno in cui i soldati del re di Francia Carlo VIII entrarono in Firenze, Giovanni Pico, dopo tredici giorni di febbri dolorose, morì, molto probabilmente avvelenato. Sulla lapide del suo sepolcro in San Marco a Furenze compare questa epigrafe opera del poeta Ercole Strozzi “Joannes iacet hic Mirandola. Caetera norunt et Tagus et Ganges forsan et Antipodes – qui Giace Giovanni il Mirandola. Il resto lo sanno il Tago, il Gange e forse anche gli Antipodi”.
- Sonetti;
- Commento sopra una canzone de amore composta da Girolamo Benivieni;
- Oratio De hominis dignitate;
- Conclusiones Nongentae;
- Apologia;
- Liber epistolarum;
- Expositio singularis in orationem dominicam;
- Regulae;
- Expositiones in Psalmos;
- Heptaplus;
- De Ente et Uno;
- Disputationes adversus astrologiam divinatricem.